Accordi tra OPEC e Shale Producers, produzione ed export USA: Michele Marsiglia, presidente di FederPetroli Italia, ci spiega cosa sta accadendo e… cosa potrebbe accadere!
La CERAWeek in corso a Houston ha catalizzato l’attenzione di investitori ed operatori di settore attivi nel mercato del greggio.
Possibili accordi tra OPEC e produttori Shale, output USA in forte e costante aumento ed esportazioni di Petrolio USA che sembrano avere tutte le intenzioni di spiccare il volo.
Cosa sta succedendo al mercato del Petrolio? Cosa potrebbe accadere? Per avere una risposta a queste domande abbiamo interpellato Michele Marsiglia, presidente di FederPetroli Italia.
Si parla di un possibile accordo tra OPEC e produttori Shale USA: è un’ipotesi plausibile?
Da come stiamo vedendo nel corso del Forum di Houston, tra Shale Executive e Opec ci sono tanti incontri, tante cene, tante buone intenzioni ma ancora niente di certo ed esaustivo.
Prima di un accordo tra due grandi players dell’Oil internazionale, oggi possiamo ritenerci fortunati ad assistere ad una fase di dialogo con gli Usa, su cui il Segretario OPEC Mohammed Barkindo tentava da tempo.
Negli ultimi anni produttori di Shale Usa e membri Opec hanno viaggiato su di una continua instabilità spesso arrivando a delle strategie interne, specialmente per l’Opec, che hanno prodotto solo ed esclusivamente confusione ed instabilità decisionale sui mercati internazionali e specialmente negli Oil Deals.
I prezzi del greggio di questi ultimi anni hanno destabilizzato i break-even delle aziende con lo Shale Oil nel proprio core-business, però abbiamo assistito anche ad un fenomeno che si può osservare da diverse angolazioni.
L’Opec ha cantato vittoria nei confronti degli USA, dichiarando velatamente una supremazia petrolifera internazionale sull’altalenarsi del prezzi del greggio ma nello stesso tempo, è bastata una fase seppur piccola di rialzo del Brent e Wti che i produttori Usa hanno recuperato immediatamente, e l’Opec è nuovamente in posizione di affanno sulle quote di mercato.
L’Opec qualche settimana fa ha riconosciuto che bisognerà fare i conti con le compagnie di Shale e con la produzione americana, questo è un segnale preciso, a seguito della frammentata e difficile situazione tra i Paesi del Medio Oriente.
Un accordo o meglio un programma sarà necessario, è questo sarà vitale per l’Organizzazione di Vienna.
La cosa che sta destando grande curiosità sui mercati è che mentre l’attenzione del petrolio internazionale è focalizzata ad Houston, il Principe Saudita Mohammed Bin Salman è in giro in diversi paesi alla ricerca di uno Stock Exchange per quotare l’IPO della Saudi Aramco.
In relazione al Permian Basin, lo Shale Play più caldo del mondo si dice di tutto e di più: il CEO di Pioneer Natural Resources ha dichiarato in precedenza un output di 10 milioni di barili giornalieri entro il 2027: considerando l’attuale stato del mercato è possibile raggiungere questi livelli?
Certamente stiamo parlando di un’area immensa con un’elevata presenza di idrocarburi ed i numeri in termini di estrazione tra Olio e Gas sono piuttosto alti.
E’ da considerare che l’idrocarburo in diverse zone del Permian è anche intrappolato a diverse profondità è questo è sinonimo per noi spesso di elevati costi di estrazione.
Dobbiamo considerare che parte della Shale production è in capo a piccole Oil companies che stanno investendo il tutto in queste produzioni e che Compagnie Petrolifere grandi come Exxon, Chevron e Shell in più occasioni si sono dette contrarie al massiccio investimento in questo specifico settore.
Le grandi compagnie petrolifere stanno facendo a gara in un’ondata di acquisizioni di queste start-up promettenti nelle drilling operations per recuperare quanto perso a causa di policy di investimento troppo rigide.
Ricordiamoci che in seguito alla crisi del prezzo del greggio i pozzi di Shale sono stati del 75 % in meno, dato fino a qualche mese fa, con grossi indebitamenti da parte delle Indipendent Oil Companies.
La cosa spettacolare e che queste società sono riuscite negli ultimi tempi ad abbassare il proprio break-even e ad incrementare la produttività estrattiva, con un prezzo del greggio a 65 dollari a Barile il ‘Game’ è stato fantastico!
Quindi il fenomeno dello Shale, seppur conosciuto da diversi anni, è ancora un fenomeno sotto osservazione da chi è fuori dal mercato americano.
Ci sarà di fatto un notevole Output tendenziale che potrà essere visibile semestre dopo semestre, non dimenticando che le aziende statunitensi sono in continuo movimento su tecniche, politiche e nuove ricerche nell’Oil & Gas.
L’export USA di Petrolio pare decollare: quali possono essere le conseguenze di questa espansione?
Le previsioni danno che per fine anno la produzione Usa sia di circa 11 milioni di barili, vuol dire superiore ad Arabia Saudita e Russia.
Non mi meraviglia se penso che stiamo parlando degli Stati Uniti.
Le conseguenze non saranno dettate solo ed unicamente dalla produzione petrolifera, ma gli Stati Uniti d’America stanno vivendo un contraddittorio continuo su diversi settori industriali a seguito delle politiche commerciali dell’amministrazione Trump, questo lascia destabilizzate le posizioni sui mercati internazionali.
Anche in passato l’export di petrolio statunitense poteva decollare ma per rigide Leggi dai tempi della crisi del ’73 sulle esportazioni di prodotto raffinato, non ha raggiunto i livelli programmati, orientando gli acquisti di altri paesi su location di produzione diversa e commercialmente più vantaggiose.
C’è un fattore tecnico anche da considerare in una moltitudine di variabili, quando si estraeva prodotto da tecniche di Shale era sempre difficile da raffinare per elementi che creavano problemi e costi per la separazione nel processo di raffinazione, invece oggi il prodotto da Shale che arriva nelle raffinerie è pregiato e pronto al processo per diventare carburante.
Si ringrazia la Redazione di Commodities Trading