La preoccupazione più grande è quella di alcune dichiarazioni di esponenti politici italiani che si improvvisano esperti di politica estera senza sapere di cosa parlano”, sostiene il Presidente di FederPetroli Italia, Michele Marsiglia
Come prevedibile, Donald Trump ha reso noto che alla loro scadenza, all’inizio di maggio, le esenzioni per l’import di petrolio iraniano non verranno rinnovate. Obiettivo dichiarato «azzerare l’export di petrolio iraniano, negando al regime la sua principale fonte di entrate». Tre degli otto Paesi esentati avevano già cominciato a ridurre la loro importazione di petrolio dall’Iran: Italia, Grecia e Taiwan. Gli altri cinque sono Cina, India, Turchia, Giappone e Corea del Sud. L’Amministrazione Trump, a dire della Segreteria di Stato, starebbe discutendo con i Paesi coinvolti per aiutarli a rinunciare alle importazioni da Teheran.
Le Sanzioni Usa su Iran «sono un segnale evidente per dirottare approvvigionamenti di greggio su altri Paesi, una manovra commerciale che scavalca le regole di libera concorrenza dei mercati e mira a stravolgere le politiche commerciali del Medio Oriente», ha commentato oggi il Presidente di FederPetroli Italia, Michele Marsiglia. Decisione che ha già creato nervosismo sui listini petroliferi e che viene confermata in un momento in cui il Medio Oriente è particolarmente in fermento, dalla Libia al Sudan, e tenendo in considerazione anche la situazione al di là dell’Oceano, in Venezuela, altro grande big del petrolio.
Secondo Marsiglia: il «Medio Oriente è sotto attacco da più fronti che ancora non lasciano una chiave di lettura precisa su quali Paesi sono coinvolti in queste velate manovre», aggiungendo «Dopo la Libia si punta sull’Iran. Gli Stati Uniti sanzionato i Paesi per loro più strategici e li obbligano ad acquistare greggi e materie prime da altri. Analoga situazione qualche tempo fa anche nei confronti dell’Unione Europea. Il petrolio iraniano è un greggio tra i migliori al Mondo per la qualità che offre nei processi di raffinazione per benzine e gasoli».
Marsiglia, pragmatico e acuto, è uno che vede lontano, molto lontano e nitido, e quando serve non ha i peli sulla lingua, è capace di dire schiettamente anche le cose peggiori, consapevole che il business is business e la politica non è da meno, serve guardarla in faccia per quello che è, ma soprattutto saperla fare, cosa che, come dice lui, è di altri tempi.
Presidente, Le chiederei di farci un quadro di quel che sta vedendo Lei in Libia attraverso le Sue reti e i suoi canali privilegiati.
E’ da oltre 20 anni che studio, intervengo e mi occupo di Medio Oriente, non solo assistendo le aziende negli accordi energetici ma anche approfondendo le relazioni interreligiose e culturali di diversi Paesi, relazionandomi continuamente con parti politiche, istituzionali e religiose; si può capire oggi la mia sofferenza in questa situazione, una sofferenza interna che non ha nulla a che vedere con il business, ma solo con l’amore per questa meravigliosa e difficile parte di Mondo. Sul fronte lavorativo, questa volta, sono testimonianza più che oggettiva con la mia azienda, essendo Consulente per Aziende contrattiste sugli impianti e giacimenti petroliferi libici dell’ENI e NOC (Joint venture Mellitah Oil & Gas). Questa è una situazione di crisi che ormai dura dal 2009, aziende che già hanno vissuto una crisi internazionale, oggi si ritrovano anche con una forte esposizione debitoria dovuta alla crisi libica. Molti addetti ai lavori sono anche amici, ci sono amici lavorativi, conoscenti, amici nel vero senso della parola e tanti che sono in Libia come residenti o che lavorano in settori diversi da quello dell’Oil & Gas: qui purtroppo è presente qualcosa che va al dì là di una semplice criticità, tanto dispiacere, tanta paura, specialmente se ci sono bambini. Il mio lato personale è forte, sapendo che considero il Medio Oriente la mia seconda casa e purtroppo, queste difficili situazioni non mi sono nuove.
Ci può fare il quadro di quanto questa ennesima crisi libica ha provocato nel sistema delle aziende italiane? Cosa stanno rischiando le imprese?
Oil & Gas non è diverso da tanti altri settori, anche noi abbiamo gli appalti, gli scoperti, i fidi, le fidejussioni, i dipendenti ed i problemi sono gli stessi di tante altre categorie. Forse ci sono degli importi diversi, perché le infrastrutture petrolifere necessitano di capitali per ampiezza dei siti e degli impianti, ma per il resto non cambia nulla dalle altre economie. Questo per dire che le difficoltà ad oggi sono dovute a continui rallentamenti o vari ‘stop and go’, che da anni continuano in fase ciclica. Materiali sul sito, operai sui siti, poi nuovamente momenti di stop, richiamo della forza lavoro, attrezzature abbandonate e nuovi preventivi per riprendere il giacimento. Questo genera un aumento esponenziale del costo degli appalti, con la richiesta di penali da parte delle aziende committenti, aumentando il fabbisogno di denaro per il riordino delle attrezzature non più operative che, a causa l’esposizione a tempeste di sabbie o altre criticità meteorologiche che si verificano in zone desertiche, non sono più utilizzabili. Per non parlare del costo del personale sui campi, associato all’esposizione finanziaria da parte degli istituti di credito che hanno finanziato le imprese.
Nel caso Serraj capitolasse, Haftar cosa farà delle aziende italiane? Cosa rischiamo come Italia? La nostra diplomazia è attrezzata per garantire comunque le aziende italiane?
Oggi potrà comprendere che non mi è consentito fare dichiarazioni su questa o su quella parte politica, anche nel rispetto di alcuni incontri diplomatici che avremo in FederPetroli Italia nelle prossime settimane. Certo la nostra e la mia vicinanza a Saif Al-Islam Gheddafi, oltre ad essere stata criticata, è più che risaputa, infatti attendo qualche dichiarazione di Saif a breve…..come qualche ‘amico’ mi ha riferito. La preoccupazione più grande è quella di alcune dichiarazioni di esponenti politici italiani che si improvvisano esperti di politica estera senza sapere di cosa parlano, questo compromette e ostruisce i rapporti industriali ed i rapporti faticosamente portati avanti dalla diplomazia internazionale e dai Servizi di Sicurezza. Purtroppo per il ‘Problema Libia’ l’Italia non è ‘strutturata’.
Lei è un buon conoscitore della famiglia Gheddafi, in questa crisi Saif Gheddafi cosa sta facendo e se Haftar avesse la meglio si potrebbe ipotizzare un ruolo per Saif?
Basta fare un giro per le vie di Tripoli o nei più famosi villaggi che compongono, seppur lontanamente dislocati, la Libia, per comprendere quanto Saif sia gradito a tanti di diverso livello sociale e culturale. Come esistono i contrari. Come dicevo, attendiamo che Saif si pronunci o che qualche portavoce da Londra o da Tunisi dica qualcosa e, penso che la sponsorizzazione arriverà da tanti Paesi del Medio Oriente che, per ora, sono dormienti o si ufficializzano tali. Non penso si possa configurare un ruolo per Saif, forse è Saif che potrebbe riservare un ruolo per qualche altro che si è dimostrato fedele amico negli anni. Certamente la nostra industria ritornerebbe ai livelli ‘pre’ e con il Generale Gheddafi: tradotto vuol dire il meglio della produttività dell’industria petrolifera internazionale. Cambierebbero sicuramente le alleanze e gli scenari mediorientali. In Libia qualcuno sta facendo i ‘conti senza l’oste’, scusi la banalità della dialettica, ma il concetto è più chiaro!
Si è aggiunto, dallo scorso 11 aprile, il Sudan. Qui cosa stiamo rischiando?
Altra situazione molto difficile, Paese con un’alta concentrazione di risorse minerarie e principale fonte di reddito l’industria petrolifera, ma con un’instabilità politica estrema. Un Paese diviso tra Sudan e sud-Sudan, ma con linee di oleodotti che collegano raffinerie e siti di produzione strategici che devono condividere un’operatività logistica, altrimenti tutto si blocca. Sono presenti principalmente compagnie come la malaysiana Petronas, CNPC, India’s Oil and Natural Gas Corporation (ONGC), Gulf Oil Petroleum, la francese Total, China Petroleum e altre più piccole. Le Oil companies Usa mancano, a causa dei problemi che ebbero con Chevron qualche decennio fa. Per l’Italia tempo fa Snamprogetti e Saipem con ENI sono stati a capo di progetti di commesse per alcune infrastrutture. ENI era presente con l’allora Agip Petroli. Non è un Paese dove l’Italia del petrolio è particolarmente esposta, almeno allo stato attuale.
Il fatto che l’Italia sia ‘alleata’ al Qatar ci pare sia un problema per la nostra capacità di ‘contare’ in fatto di politica estera sia in Libia che in Sudan. E’ così anche in termini di riflessi sugli interessi delle aziende del settore petrolifero?
Purtroppo l’Italia è un grande mercato SPOT. Ci alleiamo e fidanziamo in base alle necessità momentanee. Da decenni non riusciamo più a stabilire dei rapporti di cooperazione-bilaterale duraturi e proficui. Corriamo a stringere mani in un Paese se ci serve il gas, in un altro se ci serve qualche elicottero da vendere, ed in altri ancora se hanno riservato qualche grande azienda di ristorazione italiana, questo si chiama spot e agli occhi internazionali è visto come un’incapacità di alleanza e di complicità. Con i piedi in tante scarpe, inevitabilmente si inciampa e penso che è visibile a tutti.
Si sostiene che la diplomazia europea stai sperando e lavorando perché la giunta militare in Sudan riesca tenere il Paese, perché una giunta civile frutto di quella che è stata definita ‘rivoluzione borghese’ potrebbe mettere a rischio l’Europa e la sua politica nel Paese. Lei che ne sa in merito? La business community non sarebbe più garantita con un Governo civile espressione dei professionisti e imprenditori locali?
Purtroppo no, tutti ipocritamente contro la guerra e le malvagità, ma i regimi militari in alcuni Paesi sono i migliori. Il concetto è forte, ma è giusto anche spiegare: il Libano con le forze di Hezbollah, la Palestina con Hamas, l’Iran con alcuni gruppi o il più recente Venezuela, nonché altri Paesi vengono governati con regimi militari e con partiti politici para-militari che sono forze politiche di Governo e di quel Paese dove, la classe borghese è mente ‘pensante ed oscura’ ma a volte, legittima suggeritrice delle dinamiche e dei piani di azione da intraprendere. Anche se, a mio avviso per una convenienza, a volte alcune organizzazioni sono definite estremiste o classificate come terroristiche per parte della comunità internazionale, ma è anche vero che i regimi militari, per tanti altri, sono la soluzione più stabile e decisa per quel Paese.
Se Tripoli e Khartoum cadessero, l’Accordo di Khartoum entrerebbe in crisi (già ci sono stati gli avvisi in questo senso, l’Associazione che coordina i manifestanti del Sudan tra le richieste che ha avanzato c’è la revisione radicale dell’Accordo e la libera circolazione nel Mediterraneo). A questo punto, le politiche migratorie di Italia e UE non andrebbero forse a pallino?
Politiche migratorie che oggi esistono solo sulla carta, ma è evidenza di tutti che in tema di migrazione l’Europa non esiste, ma esistono solo gli Stati che sono coinvolti in questa problematica. Il problema sta nel fatto che quando si verificano queste situazioni gli Accordi veri o presunti sono già saltati.
A suo avviso, il Tribunale Penale Internazionale potrebbe avere di che dire e occuparsi relativamente al fatto che Italia e UE hanno dato fiumi di quattrini alla Libia di Serraj e al Sudan di Omar al-Bashir per bloccare i migranti e non lasciarli venire in Europa sapendo perfettamente che questi fondi sarebbero stati usati per la repressione di coloro che cercavano di fuggire da torture e morte?
Il Tribunale Penale Internazionale è un organismo che punisce i crimini di guerra e contro l’umanità, non punisce i flussi di denaro. Penso di essere stato il più diplomatico possibile.
La difficoltà dell’Italia a gestire la crisi libica è dovuta solo all’isolamento del Paese in Europa o c’è altro? E se altro c’è, cosa?
L’Italia non ha mai gestito l’emergenza Libia, l’Italia ha solo manifestato, con qualche sfuggente dichiarazione, vicinanza a quel Paese o a quell’altro, senza fare mai dichiarazioni dirette. Per uno dei primi partner economici commerciali di un Paese, non è stata certo diplomazia, ma segnale di impotenza politica e decisionale. Certo che se all’interno dell’UE il comportamento dell’Italia più volte è stato di contrasto nei confronti di Bruxelles, è normale che quando serve un aiuto, si risponde con la stessa medaglia. Viviamo una sorta di invito da Bruxelles: ‘visto che dite di essere tanto bravi…vediamo cosa riuscite a fare’. Purtroppo l’arroganza in politica estera si paga, anche a caro prezzo, ma chi ci rimette è l’indotto produttivo generale.
Se una nuova politica migratoria dovrà essere, il sistema delle imprese cosa auspicherebbe? Una libera circolazione delle persone nel Mediterraneo non sarebbe un apporto di competenze e gioventù che sarebbe un ricostituente per il sistema impresa dell’Italia?
A mio avviso sicuramente sì, questo permetterebbe alle aziende una multiculturalità e un passo in più nella concorrenza del libero mercato internazionale. Non si può gestire un sistema di politica migratoria per un puro ritorno elettorale interno, forse qualche nostro politico ha scambiato i migranti per un tema come l’Imu e la Tasi, non è così. A tutti non fa piacere trovarsi un delinquente italiano, tunisino, austriaco o norvegese o di qualsiasi nazionalità sotto casa, un delinquente non ha nazionalità è delinquente è basta, ma l’Italia non può permettersi un radicalismo razzista estremo. Siamo il Paese per eccellenza bacino del Mediterraneo, ricchezza di apertura con altri continenti, non possiamo assumere situazioni così estreme, che fanno prendere qualche voto all’interno del Paese ma all’estero fanno perdere la credibilità. L’Italia ha sempre tenuto alta una condotta di rispetto reciproco con altri Paesi, consolidando i rapporti di cooperazione e utilizzando la massima intelligenza politica nel saper mediare le problematiche di reciproco accordo ed interesse con i paesi partner più strategici. Parlo di un’Italia di qualche tempo fa…..
Cosa pensano gli imprenditori che Lei rappresenta dell’attuale politica estera e migratoria italiana?
Posso solo rispondere a questa domanda con degli esempi di conversazioni una tantum davanti ad un caffè, i pensieri sono diversi e personalmente rispetto tutti, ma c’è tanta confusione che alimenta l’ignoranza, quel non conoscere e non sapere cosa stiamo vivendo, il rifiutarsi di approfondire le tematiche ma l’usare solo termini impropri di giudizio. La cosa che mi fa più sorridere da anni è che tutti vanno in vacanza a Dubai, a Sharm El Sheik, si fa l’impossibile per avere nel proprio salotto un tappeto persiano, un pashmina di moda al collo e fare selfie su un cammello nel deserto, ma permettiamo all’ignoranza ed alla contraddizione di far da padrona in questa situazione che ormai non è più solo di alcuni Paesi ma è diventata attualità nella vita quotidiana di tutti.