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    Milano, 05-10-2020

    Trump VS Biden: e il petrolio USA?

    Editoriale L’Indro a cura del Presidente di FederPetroli Italia Michele Marsiglia – Un Presidente attuale pro-petrolio e un candidato alla successione pro Green Era, hanno a cuore entrambi, ma con parole diverse, quella strana materia chiamata Energia

    Mai come in questo periodo gli Stati Uniti d’America sono in un ciclone non climatico, come spesso accade, ma bensì un ciclone che spazia dalla crisi dovuta al periodo Covid, alle prossime ed imminenti elezioni di novembre nonché per la politica estera che zoppica nel suo insieme. Sicuramente la notizia dell’accordo tra Israele, Bahrein ed Emirati Arabi Uniti firmato alla Casa Bianca qualche settimana fa mostra un’azione determinata degli Stati Uniti nella road-map che si sono prefissati in Medio Oriente.

    Certamente però, sottovalutando la parte palestinese di Abu Mazen, scontenta sin dai tempi dei tempi e, pronta ad azioni che da un momento all’altro potrebbero far mostra del risentimento contro la lunga e faticosa occupazione israeliana in alcuni territori, con in primis la Striscia di Gaza, questo tanto ventilato e decantato ‘Accordo di pace’ non sembra possa esserlo ancora.

    Ma oggi l’America in che posizione è? O meglio, in tutto questo susseguirsi di problematiche, l’America del petroliol’America energeticadove è finita?

    Tra Repubblicani e Democratici al Congresso o meglio alla Casa Bianca, nell’alternanza Obama-Trump si è sempre vista una politica energetica che è stata dura da seguire per le aziende USA dell’energia. Certo Covid ha rastrellato al suolo gran parte di quelle Independent Oil Companies, le piccole società di trivellazione per intenderci che, già in affanno da un costo del greggio troppo basso che si trascinava da anni, non hanno, per forza di cose, potuto resistere all’effetto Covid; non solo con un prezzo del petrolio ai minimi ma bensì anche con due giorni di svalutazioni e di quotazioni ben sotto lo zero. Alla richiesta da parte di questi piccoli e medi operatori dell’Oro nero, di sussidi e sostentamenti finanziari pubblici per un respiro economico nel delicato momento mondiale, non è arrivato niente. Trump nei mesi passati ha innescato una massiccia azione di forza nei confronti di Opec ed Arabia Saudita per far risalire i prezzi del greggio o quantomeno dare la possibilità di vendere il surplus americano di idrocarburo e così liberare i depositi che, ormai dovevano regalare il prodotto per insufficienza di stoccaggio. La riduzione dell’Opec dell’immissione graduale di greggio sui mercati non è servita nel breve periodo e non ha aiutato né le grandi Major Petrolifere statunitensi né tantomeno coloro che avevano imminente necessità di aiuto economico concreto, i cercatori di oro nero, quelle aziende che del Fracking tempo fa avevano fatto il loro Core-Business.

    Quindi oggi ci troviamo con un Presidente Trump negazionista del cambiamento climatico e pro industria petrolifera che però non è riuscito nel suo intento di aiutare in extremis l’indotto industriale energetico americano e, dall’altra parte un candidato Democratico come Biden che sulla scia del compagno fidato di partito Barack Obama, non nega l’America energetica e nello stesso tempo resta su posizioni più soft cavalcando quello slogan internazionale che oggi è di scena chiamato Green.

    E anche in politica estera, il Congresso USA, a voce dei due senatori repubblicani Ted Cruz e Jeane Shaheen rispettivamente del Texas e New Hampshire, secondo diverse voci, si ritenga stia preparando nuove restrizioni contro le compagnie petrolifere straniere e anche alcune categorie di aziende impegnate conattrezzature per la costruzione, coinvolte nel progetto russo del raddoppio del Nord Stream 1 che collega Russia e Germania in Nord Stream 2, considerando che il gasdotto rafforzerà una possibile dipendenza dell’Europa da Mosca, in contrapposizione alle politiche americane di poter vendere idrocarburo da Shale all’Europa, anche se ad oggi, le operazioni industriali da Shale Oil e Gas sono in difficoltà.

    Assistiamo a politiche USA più che democratiche di forte ostruzionismo e violenza industriale, come le sanzioni più volte adottate con l’Iran e alcuni paesi dell’America Latina.

    E non manca l’Africa più prossima, dove con FederPetroli Italia coinvolti in progetti e commesse, assistiamo a due operatori nella stessa area a nord del Mozambico, una condivisione di quasi una stessa casa tra la francese Total (che ha acquistato il giacimento dall’americana Anadarko) alla sempre americana per eccellenza Exxon, pronte a trasformare nel giro di pochi anni il gas da giacimenti Offshore nelle acque al confine con la Tanzania in GNL, il famoso Gas Naturale Liquefatto. Quindi interessi energetici su più fronti.

    Ma oggi più che mai l’evento delle elezioni presidenziali americane come sempre è qualcosa di catalizzatore per i mercati finanziari internazionali, dove il grande attore oltre all’energia sarà il debito pubblico USA che continua a crescere con una Banca Centrale come la Federal Reserve che fatica a tenere bassi i tassi, con gli operatori di Wall Street in continuo fermento. In clima di tensione dettato anche da un Trump che, mettendo le mani avanti, ha già minacciato una possibile transizione politica non pacifica e inneggiando a possibili brogli elettorali sulle schede da parte dei Democratici.

    L’America si trova con un candidato Green come John Biden, vicino ad una transizione energetica internazionale o meglio ad una sostenibilità ambientale dovuta, rispetto ad un inquilino della Casa Bianca pro petrolio ma senza definizione alcuna delle politiche energetiche.

    Biden potrebbe tagliare qualche contributo all’industria del Petrolio per dare all’economia Green. Se ci soffermiamo un po’ sulle parole ed i trucchi delle politiche industriali, senza cadere in facili giochi verbali e dialettici, ad esclusione di poche aziendemirate, il cerchio industriale è lo stesso, l’Energia. Ne sono evidenza i 2mila miliardi di dollari promessi da Biden a sostegno della riduzione di emissioni di carbonio entro il 2035, fondi di cui beneficerebbero in primis le compagnie petrolifere per i programmi e le conversioni degli impianti. Non solo, le diverse e non mantenute strategie industriali di Trump in campo energetico e la risaputa frazionaria divisione interna al Partito Repubblicano durante la sua amministrazione, ha frenato considerevolmente anche gli investimenti nelle infrastrutture dell’Oil & Gas di collegamento tra diversi Stati americani, parlo di grandi oleodotti.

    Tra grafici di Borsa, scelte elettorali, tasse forse non pagate e petrolieri sul lastrico, non dimentichiamo che l’America stavolta combatterà ancor più con le proteste sociali e razziali. Se una volta le parole petrolio, Texas, energia, potevano  condizionare qualche voto, oggi l’America è sempre un grande Paese, però questa volta ha bisogno di relazionarsi con il resto del Mondo per godere di quella credibilità che da soli non la si può consolidare.

    Il countdown è iniziato e le Cancellerie estere sono in attesa di conoscere veramente chi uscirà Presidente e governerà la Casa Bianca. Elezioni, quindi, delicate tanto da essere onorati della visita a Roma del Segretario di Stato americano Mike Pompeo per una benedizione divina del Vaticano non avvenuta e qualche stretta di mano tra Palazzo Chigi e qualche altro nei nostri ministeri.

    Il cambiamento climatico sarà un punto caldo in questa campagna elettorale e nelle politiche ambientali che chiunque sarà Presidente dovrà attuare e far approvare. Oggi l’America è preoccupata dei cambianti climatici, in particolar modo a seguito degli incendi che hanno colpito non sole le zone della California ma anche le tempeste che si sono abbattute su diversi Stati. Un cambiamento ed una Transizione Energetica che anche noi attori dell’Oil & Gas da questa parte dell’Oceano e con FederPetroli Italia accettiamo e condividiamo con gran parte di aziende. In America Trump non solo vi è contro, ma spinge per qualcosa che forse l’industria petrolifera non vuole più, avendo iniziato un processo di rinnovamento ecologico.

    In America l’indotto dell’Oil & Gas occupa oltre 10 milioni di posti di lavoro e il popolo americano è attento che qualsiasi cambiamento non debba causare gap occupazionali a nessun settore. Ma oggi, come avvenuto negli scorsi giorni alla Camera Usa in tema di Cares Act, i problemi tra Democratici e Repubblicani ci sono e sono destinati questa volta ad essere più difficili da risolvere che in passato.

    Alla fine, un Presidente attuale pro-petrolio e un candidato alla successione pro Green Era, hanno a cuore entrambi, ma con parole diverse, quella strana materia chiamata Energia.

    IN GOD WE TRUST!

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