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L’INDRO intervista – Il petrolio della Palestina nella ricostruzione a stelle e strisce

Le risorse energetiche del Leviathan potrebbero essere al centro della ricostruzione se il giacimento in piccola parte venisse sfruttato anche dai palestinesi, risorse che servono a Netanyahu per tenere ‘sotto controllo’ i palestinesi. Ne parliamo con il Presidente di FederPetroli Italia Michele Marsiglia.

Dopo la guerra, la ricostruzione, ovvero il business della ricostruzione. La quarta guerra di Gaza è durata ‘solo’ 11 giorni, ma i danni sono enormi nella Striscia di Gaza.

Oggi il Segretario di Stato americano Antony Blinken inizia il suo viaggio in Medio Oriente, dopo che venerdì è scattato il cessate il fuoco. Incontrerà israeliani e palestinesi, a Gerusalemme il Primo Ministro Benjamin Netanyahu, e a Ramallah, il Presidente dell’Autorità Palestinese Mahmoud Abbas, il Primo Ministro Mohammad Shtayyeh e altri alti funzionari dell’Autorità Palestinese. A seguire andrà in Egitto, il Paese che ha mediato la tregua di Gaza tra Israele e Hamas, e incontrerà il Presidente Abdel Fattah al-Sissi e il Ministro degli Esteri Sameh Shoukry, infine sarà ad Amman, per incontrare il re Abdullah di Giordania e il vice Primo Ministro e Ministro degli Esteri Ayman Safadi.


Gli 
Stati Uniti si sono dichiarati impegnati a collaborare con l’Autorità Palestinese e le Nazioni Unite per fornire una rapida assistenza umanitaria e per raccogliere il sostegno internazionale per gli sforzi di ricostruzione di Gaza. «Il nostro obiettivo in questo momento è incessantemente sull’affrontare la situazione umanitaria, iniziando a fare la ricostruzione e la ricostruzione, e impegnarci intensamente con tutti, con i palestinesi, con gli israeliani, con i partner nella regione», ha detto ieri Blinken alla ‘CNN‘. Venerdì Blinken aveva avuto un colloquio telefonico con il Presidente Abu Mazen. Ora, aveva fatto sapere la Casa Bianca, «la ricostruzione di Gaza è prioritaria, non per Hamas ma per la popolazione palestinese». E il Presidente Joe Biden aveva affermato: «Non c’è alcun cambiamento nel mio impegno alla sicurezza di Israele, punto e basta. C’è bisogno di una soluzione a due Stati».

Il tema, sia in riferimento alla ricostruzione, sia, soprattutto, in riferimento ai nuovi equilibri nell’area, è tra i più complessi e meno discussi. Abbiamo chiesto al Presidente Marsiglia di farci capire la questione.

Ed è proprio qui che si entra nel nocciolo della questione. Leviathan è una grande area ricca di gas nel Mediterraneo, più precisamente nel bacino del Levante. Ad oggi è sfruttato in piccola parte con 2 piattaforme Offshore operative ed una terza di appoggio. I pozzi furono perforati dall’azienda americana Noble Energy, successivamente acquistata dalla texana Chevron. Oggi Chevron, con l’israeliana Delek Drilling, sta sfruttando alcune piccole aree di questo grande bacino di idrocarburo. Il problema sta proprio nel fatto della proprietà di queste acque. Certamente Israele lo sta sfruttando, ma come tanti interessi economici e politici di quell’area di Medio Oriente, perché non la Palestina?
Oggi dalle piattaforme di Leviathan partono due pipelines che portano gas in Israele e un’altra che conferisce gas in Egitto, al confine con la Striscia di Gaza. Le prime due linee soddisfano gran parte di mercato interno del territorio israeliano. Il problema è che i territori palestinesi, ovvero la Striscia di Gaza, la West Bank (Cisgiordania) e Gerusalemme est sono povere. Nella Striscia esiste una sola centrale elettrica, per parte funzionante con combustibile, che ormai è ferma da giorni. I territori palestinesi si approvvigionavano il carburante con mercati paralleli di contrabbando, così come per altri generi, dai medicinali, al cibo e altri prodotti ancora. Questo è l‘embargo da parte di Israele. Perché deve esistere un embargo se si sostiene che le terre siano riconosciute, Israele da una parte e la Palestina dall’altra?
Quando parlavo dell’indipendenza mi riferivo al fatto che la Striscia di Gaza è un lembo di terra di circa 360 km2 e Israele di circa 22.000 km2, se il giacimento fosse suddiviso solo in piccola parte anche a favore della Striscia, che è la parte palestinese che affaccia sul mare, si risolverebbero gran parte dei conflitti economico-sociali e di conseguenza anche territoriali. Questo Netanyahu non lo vuole. Perchè?, beh, ovvio, perchè in questo modo si riesce a tenere ‘sotto controllo’ e in ‘minoranza’ il popolo arabo palestinese. Israele non è ricca solo di giacimenti Offshore, ma anche Onshore. Sulla terraferma sono operativi diversi pozzi di olio e gas, gli operatori sono società americane e molti di questi pozzi ricadono proprio sul confine israelo-palestinese. Con la scoperta principalmente di Leviathan, Israele ha puntato nei prossimi anni a non acquistare più greggio e prodotti petroliferi dagli Stati arabi del Medio Oriente e a operare su un investimento di dipendenza energetica interna. In questo modo il popolo ebraico si smarca completamente da quello arabo-musulmano dell’Islam, per usare riferimenti etnico-religiosi.

L’Autorità Palestinese piuttosto che Hamas saranno ben consapevoli del patrimonio che hanno per le mani, allora cosa è mancato? forse la volontà politica di sfruttare questo patrimonio?

In tutto questo che stiamo dicendo, Lei sta forse affermando che il conflitto israelo-palestinese è un conflitto non tanto per la terra quanto per le risorse che si trovano sotto terra e a largo delle coste di quelle terre?

La dichiarazione fatta con FederPetroli Italia non voleva certamente dimenticare oltre 70 anni di storia tra Israele e Palestina o meglio tra religioni diverse. Il conflitto ha un suo storico. Ma oggi ci sono interessi che 40/50 anni fa non esistevano. Ci sono dinamiche geopolitiche ed economiche diverse. E’ stata questa la focalizzazione delle nostre dichiarazioni. Non penso che 75 anni fa israeliani ed arabi si scontrassero per chi avrebbe dovuto costruire una piattaforma petrolifera, ma oggi l’interesse energetico è fautore di tanti conflitti in diverse parti del mondo. La territorialità è strettamente legata ad un fattore economico-finanziario e di conseguenza sociale. Non commettiamo l’errore di invertire queste tre parole. Viviamo un’analoga situazione in Libia o in altre location del Medio Oriente. Abbiamo vissuto lo stesso problema con la Russia e l’area del Caspio. Dove passa un oleodotto ci sono royalties, ci sono flussi finanziari, c’è comando, c’è potere. Esiste un’economia che gira e circola, in poco tempo Paesi che non avevano l’acqua calda sono diventati potenze petrolifere in Medio Oriente, è questa la giusta chiave di lettura.

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