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Intervista – BENZINA A 1,65 EURO AL LITRO, FEDERPETROLI: «MANCA UNA POLITICA ENERGETICA: NON SFRUTTARE LE NOSTRE RISORSE E’ UN SUICIDIO ECONOMICO»

Un litro di benzina o poco meno di due grammi e mezzo di argento. Il costo è lo stesso: 1,65 euro. Il carburante è ai massimi dal 2018 ma nelle prossime settimane potrebbe esserci uno stop. Ieri è stato raggiunto l’accordo al vertice Opec+ per aumentare la produzione di petrolio a partire da agosto. L’intesa ha spinto al ribasso i prezzi del greggio all’avvio dei mercati. Il petrolio Wti del Texas è sceso dello 0,91% a 71,1 dollari al barile mentre il Brent del Mare del Nord ha perso lo 0,8% a 73 dollari. «L’aumento dei prezzi alla pompa è solo da attribuirsi ad uno sbalzo già in previsione dei greggi internazionali che hanno spinto le raffinerie a uno sforzo maggiore di acquisto di prodotto», dice Michele Marsiglia, presidente FederPetroli Italia. «L’industria dell’Oil & gas sta vivendo un forte strascico causa pandemia con perdite notevoli sui margini di raffinazione. L’aumento del greggio è normale, considerando quanto terreno perso nelle quotazioni e quote di mercato in questo ultimo anno».

Siamo tra i paesi più cari al mondo per costo carburante. C’è molta differenza con il resto d’Europa, l’Asia e gli Usa?

«Il costo di produzione industriale sulla raffinazione non supera l’euro. Il problema è quello che si addiziona come accise, tasse varie ed altro. In Italia manca una politica energetica. Senza questo, il costo energetico nel nostro Paese non potrà avere risvolti vantaggiosi».

Tra le cause dell’aumento dei prezzi il poco sfruttamento delle risorse energetiche del Paese per la mancanza di una SEN (Strategia Energetica Nazionale). Il Governo, a novembre 2017, ha adottato una strategia energetica nazionale. Bisogna modificarla?

«Che un Governo adotti una Strategia non vuol dire che sia consona all’industria di quel Paese. Non esiste una SEN adeguata, strategica e valida. Questo non è solo visibile in Italia ma la mancanza di una politica energetica parte dall’Europa. Viviamo in un sistema energetico senza interconnessione, in primis tra gli Stati membri, e poi tra le infrastrutture. Ogni Paese gestisce le proprie politiche energetiche senza seguire una linea comune. Tutto questo porta ad una massiccia diversificazione di acquisto e di pricing. In tutto poi da Bruxelles arriva ad effetto domino anche in Italia, dove si aggiunge una poca propensione allo sfruttamento delle risorse energetiche che il sottosuolo offre. Versante Offshore bloccato e Onshore nello stesso stallo. In questo modo aziende che hanno sostenuto ingenti investimenti negli anni per la ricerca e sviluppo di idrocarburi oggi si vedono bloccati delle loro attività con forti deficit strutturali, per colpa di qualche politichetto che ha deciso di cavalcare una battaglia di cui poco sa. L’economia energetica di un paese non è un gioco su cui divertirsi ma bensì un baricentro industriale ed economico per l’economia di uno Stato».

Recentemente ha dichiarato che si può produrre gas e olio dalle nostre risorse del sottosuolo, con un notevole risparmio sulla bolletta energetica delle famiglie italiane. Quanto e come bisogna investire?

«Non bisogna investire tanto. In Italia sono stati già perforati e pronti per essere messi in produzione diversi pozzi sia a terra che in mare. La messa in produzione vuol dire che “aprendo il famoso rubinetto” i pozzi iniziano ad erogare nei gasdotti o oleodotti il gas che arriva nelle nostre case e l’olio che poi andrà in lavorazione nelle diverse raffinerie sul territorio. Senza tutto questo, per forza di cose siamo costretti ad approvvigionarci all’estero con costi molto più alti, di prodotto e di logistica. Una politica di supply estera è giusta che esista, anche perché solo in questo modo si possono avere le diverse qualità di greggio, ma non sfruttare le proprie risorse energetiche è un suicidio di una politica economica ed industriale di una nazione. Quindi, alla domanda sul prezzo dei carburanti, bisognerebbe ben riflettere su una situazione allargata».

È già partita la corsa mondiale per conquistare la leadership delle energie rinnovabili. Che ruolo avrà il petrolio nella transizione energetica?

«Il petrolio non finirà mai, certo detto da me che dicono che vivo di pane e petrolio è difficile da credere ma è così. È una risorsa naturale che potrà finire in un pozzo solo se l’uomo sarà avido nello sfruttamento, ma i giacimenti non finiranno e ce ne saranno sempre di nuovi da esplorare e sfruttare. Basta pensare che la Libia è sfruttata solo al 40%, se non meno, solo per fare un esempio. Ben venga una transizione energetica ma deve essere chiara. Ad oggi le linee guida sono ancora confusionarie e tutto questo porta l’industria e le aziende a disorientarsi in questo ambizioso progetto di transizione. Transizione energetica non vuol dire stop al petrolio ma innovazione di processo nelle attività al fine di una eco-sostenibilità sempre più evoluta nell’interesse della qualità della vita di tutti noi».

Il PNRR ha dimenticato il settore petrolifero. L’oro nero, in futuro, sarà sostituito dall’oro verde?

«In questo contesto il discorso è più delicato. Il PNRR è un’azione politica se così possiamo chiamarla positiva e dobbiamo dare atto che il Governo ha fatto un ottimo lavoro nel coinvolgimento di questa misura. Dire che ha dimenticato il settore petrolifero no, però il tutto è stato incentrato sull’investimento in un piano di transizione destinando fondi diversi ai nuovi investimenti in biometano, idrogeno ed altre economie energetiche di scala. A questo punto viene da chiedersi, ma l’industria fossile e della raffinazione come dovrà adeguarsi a tutto questo? Una transizione ha costi notevoli di adeguamento industriale che le compagnie petrolifere ed altre aziende dell’indotto non possono sostenere da sole. Non parliamo solo delle grandi compagnie petrolifere ma di tutte l’industria dell’Oil & Gas. Diciamo che il Pnrr è qualcosa di bello ma “nel serbatoio normativo” ci sono ancora diverse falle da tappare!».

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