Italia prova a fare la voce grossa sul tema dei porti, ma i Paesi nordafricani reagiscono prontamente e i prezzi del petrolio lievitano in maniera diffusa. «La gestione dei migranti in Italia è fattore dominante per le politiche energetiche e l’espansione petrolifera con nuovi impianti nel Maghreb», spiega Michele Marsiglia, Presidente di FederPetroli Italia.
A pagare le conseguenze sono i cittadini, costretti a fronteggiare i rincari diffusi legati all’aumento dei costi degli idrocarburi. Il legame tra politiche migratorie e approvvigionamenti di gas e petrolio si palesa soprattutto per le imprese che operano nel settore. «Rappresentiamo la catena energetica petrolifera dall’estrazione della risorsa mineraria alla raffinazione fino alla distribuzione, quindi riusciamo ad avere una fotografia del mercato reale».
Da dove passa l’approvvigionamento italiano di idrocarburi?
«In Italia, il governo Meloni ha detto sì alle nuove trivellazioni, ma di fatto siamo fermi e le nostre aziende lavorano principalmente all’estero: Libia, Mozambico, Qatar e Marocco, dove si sta lavorando con una grande compagnia petrolifera ad un nuovo pozzo esplorativo offshore. Il mercato energetico italiano non si è evoluto negli ultimi 15 anni, siamo in una fase di stallo, anche se abbiamo più di 600 pozzi già perforati, ma inattivi, dai quali potremmo estrarre gas e petrolio. Per sopperire alla carenza di idrocarburi e soddisfare il fabbisogno del Paese ne importiamo oltre il 90%. In più abbiamo poche raffinerie per trasformare il petrolio greggio e ciò fa aumentare i prezzi per il consumatore finale, dalle bollette agli scaffali dei supermercati. È da sottolineare che parliamo di materie prime che, oltre al gas per le abitazioni e al carburante per i serbatoi delle auto, consentono attraverso l’industria petrolchimica di realizzare tutto ciò che contiene plastica e/o dei colori, dai tessuti ai manufatti».
La situazione dei rifornimenti di gas e petrolio è al sicuro?
«Al momento è stato rafforzato un Piano Mattei per l’Africa e per il Medio Oriente dove abbiamo siglato accordi accaparrandoci più gas possibile. L’Italia resta però a rischio. Se una calamità naturale o una fase bellica si dovessero abbattere sull’Algeria o sull’Egitto, il prodotto non avrebbe alcun modo di arrivare in Italia. Dovremmo non dimenticare che noi andiamo lì come ospiti a estrarre e commerciare idrocarburi. Per questo, sarebbe consigliabile essere ragionevoli e collaborativi. La tratta migratoria è fondamentale in questo mercato perché quando noi lavoriamo in questi Paesi sfruttiamo le loro terre. In cambio loro chiedono di risolvere alcune problematiche e tra queste appare l’emigrazione. Il Nord Africa e il Medio Oriente hanno la necessità di gestire il flusso migratorio. Se l’Italia chiude loro la porta, quando noi aziende andiamo in questi Paesi le nostre attività, ovviamente, troveranno un muro. È vero che l’Algeria ci ha dato il gas, ma dopo che abbiamo trascorso il 2022 a chiederlo in ginocchio. Siamo scesi a patti, concordando di farci carico della ristrutturazione dei loro impianti di estrazione. Così l’Algeria è ora il primo fornitore di gas naturale del Paese, dopo i restringimenti al commercio con la Russia dovuti al conflitto con l’Ucraina. A seguire i nostri principali fornitori sono, nell’ordine, la Libia, la Tunisia e l’Egitto».
Perché l’Italia dovrebbe accogliere i migranti?
«L’Italia è hub del Mediterraneo, per la sua posizione geografica centrale e strategica. Se arrivano i barconi carichi di migranti dal Nord Africa è nostro compito gestirli e fungere da intermediari con l’Europa. Le politiche migratorie restrittive portano attrito. Una tensione di certo non scritta, ma che si percepisce immediatamente. Soprattutto quando arriviamo là da imprenditori e uno “strano ostruzionismo” alle nostre richieste vagheggia nell’aria. In Tunisia, anni fa, il problema per l’industria petrolifera internazionale è stato così forte a causa delle contrapposizioni istituzionali che qualcuno ha chiuso i battenti e abbandonato il territorio, lasciando addirittura gli impianti di perforazione in loco. Il Nord Africa, lo sappiamo, è una terra ricca di idrocarburi ed è in gran parte inesplorata. Possiede riserve ancora non perforate. I costi di produzione sono minori rispetto a quelli italiani, perché in Basilicata dobbiamo scavare oltre mille metri per trovare il petrolio. Lì in terreni desertici, sabbiosi, i costi di produzione sono diversi perché bastano pochi metri per farlo affiorare in superfice».
Che approccio adottare?
«Serve guardare al Mediterraneo con uno sguardo diverso. Dall’Africa ci separano pochi chilometri di mare. Sono i nostri vicini ed è necessario operare in un’ottica collaborativa. L’Europa e l’Italia dovrebbero avere più rispetto nei confronti di popoli, culture e tradizioni che sono ben diverse, ma allo stesso tempo molto simili alle nostre. Quando operiamo all’estero dobbiamo comportarci da ospiti, non criticare. Le partnership con Nord Africa e Medio Oriente oggi sono indispensabili per gli italiani perché le risorse minerarie provengono da lì. Olio e gas ci servono e bisogna muoversi in punta di piedi».
Esistono già esempi virtuosi?
«Il Marocco attrae investimenti perché ha una buona stabilità politica. Re Mohammed VI da anni ha intrapreso un percorso di innovazione tecnologica imponente e fattivo. Si tratta di un Paese ricco di risorse minerarie. Ci sono grandi aree da poter sfruttare ed è stata messa a nostra disposizione la maggior parte di chilometri quadrati dove è già ricercata e sondata la presenza di idrocarburi. Il popolo marocchino sta dando grandi opportunità imprenditoriali alle aziende estere e dobbiamo riconoscerglielo. Ci è stata data la possibilità di approcciarsi al mercato facilitando l’ingresso nella filiera e limitando l’iter burocratico. Contiamo numerose realtà dell’industria italiana che intendono entrare in Marocco, dalla petrolchimica all’oil & gas. L’atteggiamento, dopo la catastrofe del terremoto, è di non fare neanche un passo indietro. Anzi. L’intento è di affiancare questo Paese creando sviluppo con le potenzialità delle aziende italiane e la complicità positiva delle istituzioni marocchine. Questa forza di mercato però viene indebolita dalla gestione dei flussi migratori».
Se si chiudono i porti, si fatica ad accedere ai pozzi di petrolio…
«Per quanto possiamo attivarci ed essere efficaci sul fronte imprenditoriale ed industriale, se le istituzioni ostacolano il nostro percorso diventa difficile fare business. I risvolti sono evidenti, – sottolinea Marsiglia – l’abbiamo visto: il gas acquistato sul mercato internazionale lo scorso anno lo abbiamo pagato a caro prezzo. Con riflessi diretti sulle tasche dei consumatori. Penso che l’Europa e l’Italia per quanto riguarda i migranti ancora non abbiano manifestato grandi aperture. Eppure il flusso migratorio in entrata andrebbe valorizzato. Come ha sostenuto il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella qualche giorno fa, sono risorse umane preziose, ma si preferisce fare ostruzionismo e l’unico obiettivo è limitare gli sbarchi sulle coste italiane. Vogliamo andare a prendere risorse in Libia, Marocco, Algeria, Tunisia, Mozambico, però non abbiamo nessuna intenzione di aiutare questi Paesi a risolvere le problematiche maggiori che portano alla nostra attenzione. In primo luogo l’accoglienza. Credo debba esistere, non dico il principio del “dare e avere”, ma almeno una reciproca collaborazione. Sul fenomeno migratorio non possiamo latitare. Altrimenti ci si trova in difficoltà quando le nostre aziende ricevono dei no. Un rifiuto che non è casuale: il no lo abbiamo detto prima noi alla frontiera».detto prima noi alla frontiera».