I distributori senza marchio sono il 12,5% degli im pianti. Aprirne uno costa almeno un milione di euro, ma in due anni si rientra dall’investimento. Senza grandi rischi. Nella polemica continua sui prezzi della benzina, riaccesi dopo i recenti aumenti, c’è solo un’isola felice, sia per chi l’ha creata, sia per chi la frequenta: i distributori <>, cioè senza il marchio di grandi gruppi petroliferi. Ormai sono migliaia, anche se i numeri precisi non sono facili da stabilire perchè nella definizione rientrano le minirete di piccole imprese, gli impianti a consuzione familiare, quelli legati alla grande distribuzione, i distributori discount senza marchio e persino chi continua a mantenere le insegne di una grande compagnia petriolifera, ma è diventato proprietario del sito. E’, invece, un dato certo la continua crescita della loro presenza sulle strade. Nel nostro Paese esistono solo da una quindicina d’anni e sono rimasti a lungo delle vere eccezioni. Oggi, invece, sono circa il 12,5% del totale degli impianti di distribuzione di carburanti e continuano ad aumentare di numero. Perchè sono un buon affare per gli automobilisti ma sono un ottimo affare per i proprietari delle stazioni di servizio. I primi ottengono uno sconto di qualche centesimo su ogni litro di carburante rispetto alle grandi compagnie petrolifere. I secondi hanno un ritorno dell’investimento molto rapido, in contanti ed estremamente sicuro. <> spiega Michele Marsiglia, presidente di FederPetroli Italia, l’associazione di categoria che ne raggruppa poco meno di 200, <>. MINORI COSTI. La formmula ideale per FederPetroli Italia è quella del proprietario-gestore. Così si abbattono i costi del personale e si massimizzano le entrate. Ma anche una struttura più grande, fatta di impianti dati in gestione a terzi, resta comunque un buon affare, perchè al benzinaio va soltanto circa un terzo dei guadagni. I tempi del ritorno dell’investimento passano da due a tre anni, ma rimangono comunque interessanti. Specie se al distributore di carburante si affincanoattività collaterali, le cosidette non-oil, come un autolavaggio, una piccola officina, il bar o lo shopping. Che però incidono sui costi di realizzazionedell’impianto, così come la location – che è determinante per la quantità di carburante venduto – la fascia luminosa sulla tettoia pe ril servizio notturno, che costa come minimo 100 mila euro per una stazione di piccole dimensioni, o l’accettatore di banconote per il self-service, che costa soprattutto in termini di poliza assicurativa per coprire gli eventuali danni provocati dai vandali o dai ladri. <>. Secondo FederPetroli Italia, oltre a portare avanti l’attività imprenditoriale in famiglia, le regole d’oro per guadagnare con un distributore di benzina senza insegna sono semplici: impianti non faraonici, l’installazione di self-service, la scelta di un sito a una decina di chilometri dai concorrenti e l’acquisto al meglio del prodotto. Ed è proprio quest’ultimo punto che fa la differenza tra le pompe bianche e le compagnie tradizionali. <> prosegue Marsiglia <>. Che di norma sono trasfreriti sui prezzi dei carburanti alla pompa. <> conclude Marsiglia