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    Roma, 13-04-2015

    INTERVISTA — Energia: i difetti della strategia italiana

    INTERVISTA –Indipendenza energetica. Energia: i difetti della strategia italiana


    a cura di Alessandra Benignetti  per L’Indro


    Ripartire dal petrolio, rilanciando la produzione nazionale. È uno dei passaggi chiave della Strategia
    Energetica messa a punto dal Governo Renzi, che viene implementato attraverso gli articoli 35 e 38 del
    decreto cosiddetto ‘Sblocca Italia’, da un po’ di tempo ribattezzato ‘sblocca trivelle’, soprattutto nella
    regione più interessata dalle estrazioni, la Basilicata, il cui potenziale estrattivo è stato valutato in un
    miliardo di barili.

    La strategia del Governo per l’energia viene descritta in modo chiaro. Assicurare una «produzione
    sostenibile di idrocarburi nazionali», per diminuire la dipendenza dall’importazione di combustibili
    fossili, ed assicurarsi quindi un minimo di indipendenza energetica, che si ripercuoterebbe in maniera
    positiva sia sulla ‘bolletta’, sia sull’occupazione e sulla crescita economica. «L’Italia è altamente
    dipendente dall’importazione di combustibili fossili» e «allo stesso tempo, dispone di ingenti riserve di
    gas e petrolio», è quindi «doveroso fare leva (anche) su queste risorse», si legge nel testo della Strategia
    Nazionale per l’Energia, diffuso dal Ministero dello Sviluppo Economico. Delle risorse che, secondo i
    dati diffusi dal Governo sarebbero seconde in Europa, solo a quelle dei paesi nordici.
    Gli obbiettivi a medio termine, sono quindi lo sviluppo della produzione nazionale di idrocarburi, con
    attenzione agli standard ambientali e di sicurezza, sostenendo, inoltre, lo sviluppo industriale del settore
    come importante motore di investimenti ed occupazione. Il Governo conta, infatti, di aumentare
    l’attuale produzione di circa 24 milioni di barili di olio equivalente «di gas e 57 di olio, portando dal
    7 al 14% il contributo al fabbisogno energetico totale» entro il 2020. Questo permetterebbe di mobilitare, secondo le previsioni del Ministero dello Sviluppo Economico «investimenti per 15 miliardi
    di euro, 25.000 posti di lavoro», e, infine di «consentire un risparmio sulla fattura energetica di circa 5
    miliardi di euro l’anno per la riduzione di importazioni di combustibili fossili». Il rilancio della
    produzione nazionale di idrocarburi avverrà, inoltre, riducendo del 5%, circa, le infrastrutture,
    ottimizzando la progettazione e l’uso di tecnologie all’avanguardia.
    Ma ci sono stati per il settore degli idrocarburi in Italia degli effettivi benefici a seguito delle aperture del
    Governo contenute del decreto ‘Sblocca Italia’? Lo abbiamo chiesto a Michele Marsiglia, Presidente di
    FederPetroli Italia. “Ad oggi” afferma, “non possiamo definire il nostro settore ‘sbloccato’. Non basta
    una Valutazione di Impatto Ambientale (VIA) del Ministero dell’Ambiente per giudicare l’effetto positivo
    o no della Legge Sblocca Italia. Certo, un Titolo di concessione petrolifera ‘unico’ è un risparmio di
    tempo, di carte e di risorse economiche ma alla fine conta altro, ovvero quanto bisogna attendere per
    mettere in produzione e sfruttare i nostri giacimenti».
    Secondo il Presidente di FederPetroli Italia, inoltre, le concessioni fatte dal Governo Renzi attraverso il
    decreto, da sole non sarebbero sufficienti per rilanciare la crescita del settore petrolifero e
    aumentare il livello di indipendenza energetica del nostro Paese. Dal punto di vista degli attori
    dell’indotto energetico, spiega Marsiglia, il decreto di Renziè solo un simpatico slogan etichettato
    ‘Blocca Italia’. FederPetroli Italia da anni sta contribuendo ad una ridefinizione di una Politica
    Energetica Nazionale e con la nuova Unione Energetica ad una Politica Energetica Europea. In Italia
    mancano le linee guida per definire una Strategia chiara e mirata, la realizzazione di un mix energetico
    che comprenda tutta la filiera petrolifera. ‘Sblocca Italia’ non risolve il problema dell’indotto di
    raffinazione, della logistica, della rete carburanti ed anche delle energia alternative e le responsabilità
    dei soggetti coinvolti. Tanta confusione e mancata definizione degli Enti competenti. L’Italia nell’arco di
    10/15 anni potrebbe soddisfare gran parte del fabbisogno nazionale energetico e considerando anche
    l’import di energia da altri Paesi dare un significativo impatto positivo sulla Bolletta energetica delle
    famiglie. Bisognerà ancora lavorare tanto”.
    Le critiche che arrivano dagli operatori dell’indotto del settore petrolifero vengono riprese anche dai
    comitati che in più di un’occasione sono scesi in piazza sul territorio per sottolineare quello che non va
    nei due articoli del decreto al centro delle polemiche. Abbiamo raggiunto al telefono Pietro De Angelis,
    uno dei fondatori del comitato ‘Mo Basta’, che dall’8 novembre del 2014 porta in strada migliaia di
    cittadini lucani per protestare contro le trivelle. “La nostra regione è interessata dal 90% delle estrazioni
    previste sul territorio nazionale: questo decreto per noi rappresenta una truffa, che Renzi ha fatto ai
    cittadini per favorire le grandi compagnie petrolifere, come Eni e Total”, afferma De Angelis. “Il
    problema per noi”, continua, “non è tanto quello di non volere le trivellazioni sotto casa, ma è un
    problema di costi e benefici. Ormai è stato dimostrato che il petrolio non porta nessun beneficio
    economico alla nostra regione, tantomeno alle ‘bollette’ dei cittadini italiani. A fronte di poche centinaia
    di lavoratori assunti nel settore, abbiamo assistito ad un vero e proprio spopolamento nelle zone delle
    trivellazioni. Almeno 50.000 persone sono emigrate dalla Basilicata solo negli ultimi tempi: tutte risorse umane che potevano essere destinate, per esempio, all’agricoltura».
    Ma chi è interessato soprattutto ad investire nel petrolio italiano? Sicuramente l’Eni, ma anche molte
    compagnie straniere, come ci conferma il Presidente di FederPetroli Italia  Marsiglia: “l’Italia negli ultimi
    dieci anni è diventata una meta di esplorazione petrolifera sia Onshore che Offshore. Abbiamo presenza
    di bacini marini ad alto tasso di idrocarburi e morfologia del sottosuolo di alcune regioni con presenzadi petrolio e gas quindi ben predisposte allo sfruttamento di piccoli giacimenti. L’Italia ha suscitato un
    grande interesse di Indipendent Oil Companies straniere, quotate su mercati finanziari di diversi Paesi.
    Da anni investono in Italia, con organico italiano e richiesta di concessioni petrolifere ma ovviamente
    l’Italia non sta facendo una bella figura. Tante di queste compagnie petrolifere versano in una situazione
    dove pozzi e concessioni a terra (Onshore) ed in mare (Offshore) sono bloccate o non in produzione
    (vuol dire che il pozzo è trivellato ma non erogante gas o olio)”. Secondo Marsiglia, inoltre, la presenza
    di queste compagnie: «ha portato benefici: in primis la forza lavoro italiana occupata, la tassazione, il
    fare impresa di diritto italiano e le royalties che sono state versate, ma i benefici potrebbero essere
    maggiori, con la messa in produzione di giacimenti e concessioni con piattaforme e pozzi a terra ormai
    bloccati da decenni”.
    Di tutt’altro parere De Angelis, per il quale, sul territorio, «il petrolio non ha portato né ricchezza né
    sviluppo». «Per di più», prosegue il fondatore di “Mo Basta”, «Renzi ha tolto alla nostra Regione il
    potere di decidere sul territorio, e questo favorisce senz’altro i poteri forti e le grandi compagnie come
    Eni, ora private e non più statali. Una compagnia che è già stata denunciata per corruzione e reati
    ambientali, ci possiamo fidare?». E su questo promette battaglia: «dal 1 aprile le competenze sono
    passate a Roma, e il comitato, a cui aderiscono tutte le altre sigle sul territorio, di sicuro non starà a
    guardare, e anzi preparerà nuove mobilitazioni».
    La percezione comune, dunque, è quella che, ad oggi, non esista ancora una strategia energetica
    efficace per l’Italia, o perlomeno che tenga conto di tutti gli stakeholders e delle esigenze e priorità del
    nostro territorio. Una percezione duplice, sia da parte della cittadinanza attiva, sia delle aziende che
    ruotano attorno all’indotto del settore degli idrocarburi.
    Abbiamo chiesto a Marsiglia, quali sono i punti sui quali c’è ancora del lavoro da fare: “è importante
    far conoscere cosa vuol dire energia. Cosa vuol dire fabbisogno energetico, far conoscere alla
    popolazione italiana ed a chi non è del settore le potenzialità che l’Italia ha per risorse interne. Non vuol
    dire che il nostro Paese deve diventare una gruviera petrolifera ma bisogna sfruttare intelligentemente
    le risorse, studiando tutte le forme di energia. Con ‘Operazione Trasparenza’ FederPetroli Italia già da
    anni ha dato vita ad una iniziativa su tutto il territorio nazionale per far capire cosa vuol dire Petrolio e
    Gas in Italia, i benefici, i rischi, i vantaggi economici ed occupazionali, dialogando con pro e contro, ma
    in una forma di dialogo e confronto costruttivo. Solo così si può definire una chiara e trasparente
    Strategia Energetica Nazionale”.

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